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Smascherare il Mostro! Possiamo davvero parlare di Emozioni?

A cura di Dott.ssa Marisol Trematore, Pedagogista, Formatrice e Counselor Relazionale

Vi siete mai sentitə esaustə dagli infiniti “Progetti sulle emozioni”? Stanchə di vederli, farli o sentirli, progetti spesso banalizzati (passateci il termine) da colori, disegni e mostri vari.

Sicuramente riconoscerete questo mostriciattolo che ha avuto la sfortuna di addossarsi infinite variazioni di quelli che da anni oramai chiamiamo “progetti”. Non ce ne vogliano l’autrice Anna Llenas e la casa editrice dell’albo “I colori delle emozioni” (Edizioni Gribaudo), un libro peraltro di qualità, che racchiude delle buone chiavi di lettura ed infiniti messaggi.

La riflessione che abbiamo voluto accendere non è riferita a questo, vuole piuttosto puntare i riflettori sull'aspetto "riduttivo" di una tematica così importante soprattutto nel panorama odierno. 

Perché parliamo di “banalizzazione” della progettazione, in riferimento alla sfera delle emozioni?

Perché è un ambito così complesso e ampio che merita di avere grandi spazi di riflessione, per non essere “incasellato” e chiuso in attività pensate in maniera semplicistica o riduttiva.

Quando parliamo di emozioni e di autoregolazione emotiva di bambini e bambine, prima di pensare a una qualsiasi attività o programmazione educativa, dovremmo sempre considerare che in una giornata, un bambino o una bambina (così come un adulto), può vivere tanti stati emotivi diversi, spesso anche in forte contrapposizione tra loro. 

E da qui la domanda: in che modo è utile per i bambinə avere la settimana/il giorno/il mese “dedicato alla rabbia o alla gioia”?

Come se in quel lasso di tempo si dovessero concentrare su un’emozione unica per “studiarla” per bene, tralasciando le altre. La mente e il cuore di un bambino non funzionano esattamente come quelli di un adulto (la razionalità, fortunatamente, non gli appartiene).

Tutte le “manifestazioni emotive”, durante l’infanzia, hanno una loro durata, ovvero seguono un processo temporale, che può variare in base alla situazione, per raggiungere un picco massimo e poi scemare gradualmente. Vien da sè pensare che bambini e bambine non possano manifestare la stessa emozione per giorni interi, ma alternare stati d’animo anche molto diversi tra loro, innescati da variabili interne o esterne.

Nei primi 6 anni di vita imparano “con gradualità” a riconoscere ciò che sentono, a dargli un nome e ad esprimerlo attraverso diversi canali (principalmente il corpo, seguito poi dal linguaggio). Per questo è importante che l’adulto verbalizzi ciò che il/la bambino/a sta provando… per aiutarlo/a pian piano a riconoscerlo. Un accompagnamento accogliente e senza giudizio.

E allora, perché colorare per mesi interi dei fogli o ritagliare facce che dovrebbero rappresentare le emozioni, o scriverne il nome, se poi quando i bambini sono arrabbiati o tristi, chiediamo loro di smettere di piangere o usiamo frasi del tipo “non arrabbiarti!”? O li invitiamo a stare fermə, a non muoversi, a non correre, saltare? O ancora, lì limitiamo nei conflitti che vivono con sè stessi e con gli altri?

Le emozioni devono poter trovare un loro canale di espressione, attraverso il corpo, il movimento, le tante arti espressive, il linguaggio e non di essere chiuse in scatole predefinite da noi adulti.

Chi dice che la rabbia deve essere per forza rossa o la gioia gialla? Magari per quel bambino la rabbia viene accostata a un suono, a un odore o a niente in particolare.

Più lasciamo aperte le tante possibilità che i bambini e le bambine ci indicano per osservarli, capirli e aiutarli nel percorso di autoregolazione emotiva e più facilmente educheremo persone che un giorno sapranno avere consapevolezza del loro mondo emotivo.

E di questo ne abbiamo estremamente bisogno.

Perché sta alla base di tutto.

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