Riscopriamo i bisogni naturali dei bambini insieme a noi adulti: alla ricerca del ginocchio sbucciato.
Articolo a cura di Licia Vasta, Pedagogista psicoanalitica, Formatrice, Counselor Supervisor e Mediatrice familiare.
Oggi si parla di infanzia ma spesso ci dimentichiamo dei bambini, così come dei diritti, scordando i bisogni profondi dei più piccoli: bisogni di con-tatto, ovvero di entrare in contatto con loro con il tatto.
Il tatto è sensorialità, memoria epidermica che crescendo lascia troppo velocemente spazio ad una mente logica e razionale dimenticando il corpo. I bambini ( piccoli e piccolissimi ) sono un tutt’uno come mente e corpo. Un corpo sacro troppo spesso esposto nella pubblicità e ancora una volta dimenticato per quello di cui avrebbe più bisogno: sentire, annusare, toccare.
Toccare come sensorialità significa nutrimento, linfa vitale per il cervello dell’essere umano e il piccolo, se tenuto troppo al chiuso, perde questi stimoli.
La mano che tocca è toccata…
…e questa semplice e fondamentale esperienza oggi rischia di essere sviluppata solo su oggetti che non trasmettono sens-azioni, ad esempio, se facciamo riferimento alle nuove tecnologie. Bambini con menti iper sviluppate, ma con corpi sempre più fragili che rischiano di perdere il piacere del toccare , di percepire le differenze di diverse tessiture, perdendo il senso della tridimensionalità.
L’educazione di oggi tende ad impoverire il nutrimento della mente, se la vogliamo intendere come elemento che parte dal corpo, dalle sensazioni che si trasformano in emozioni e quindi in pensieri.
Pensare significa prendersi cura della mente partendo dal corpo… per poter fare che quel nutrimento diventi unico e speciale!
Per ogni singolo essere umano sarebbe opportuno poter uscire tutti i giorni, guardare, osservare, “toccare con mano” ciò che accade perché è osservando i fenomeni naturali che si sviluppa l’educazione della mente . Poter descrivere ciò che accade per trasformarle in parola e perché la mente si possa riempire di idee vive e non di idee inerti.
Parlare di educazione all’aria aperta significa educare i piccoli e piccolissimi fin da bambini alla cura e rispetto di ciò che li circonda, come ordine fisico, emozionale e mentale. Vediamo i bambini di oggi sovraccaricati di pensieri che non appartengono a loro e che non riescono a produrre proprie idee perché anticipati ed anche iperprotetti nel fare esperienze. I bambini di oggi si trovano bambini nell’obbligo del pensiero di altri.
I termini “lentezza” e “ozio” nella nostra società e cultura sono letti con accezione negativa e ci dimentichiamo che la capacità di rimanere “a maggese“ significa guardare con un nuovo sguardo il termine ozio, inteso come esperienza del Sé. Esperienza che permette in un sano silenzio di restare in ascolto di se stessi, vivendo un nuovo ritmo di lentezza come un cullare il proprio mondo interno.
Gianfranco Zavalloni, nel suo splendido ed emozionante libro “La Pedagogia della lumaca” (Emi Editore), afferma che “Perdere tempo è Guadagnare tempo“.
In che modo ci racconta come questo può accadere?
Il gioco spontaneo è il canale privilegiato dell’apprendimento infantile e “perdere tempo per giocare” vuol dire recuperare un tempo perduto che sembra lontano, passato ed invece è il motore energetico per l’adulto del domani. Zavalloni ci dice infatti di “perdere tempo per crescere, per camminare”.
Direi per so- stare, saper stare nell’esser-ci e soffermarsi a osservare cosa accade attorno. Il sentire si impara nella lentezza a differenza delle sollecitazioni e richieste che noi adulti diamo ai più piccoli.
Un libro in rima per bambini, ma che dovrebbero leggere adulti ed in particolare genitori ed educatori, è “Vorrei un tempo lento lento”, di Luigina Del Gobbo e Sophie Fatus (Edizione Lapis). La meraviglia e la delicatezza di questo testo sta nel fatto che riesce a dare voce ai bisogni, a volte inespressi, dei più piccoli.
“Vorrei un tempo libero, libero veramente, adatto per sognare o per quel che passa in mente. Vorrei un tempo vuoto ancora da inventare , riempirlo a poco a poco e poi lasciarlo andare“. Vorrei un tempo lento lento