L’impronta emozionale nei primi tre anni di vita: l’ambientamento in tre giorni raccontato dai genitori.
A cura della Dott.ssa Licia Vasta, Psicopedagogista, Counselor psicoanalitico e Mediatrice familiare
Dal vissuto al narrato per costruire l’alleanza educativa con le famiglie. Esperienze in alcuni nidi d’infanzia del bolognese.
“Sarebbe bello parlare con i bambini che eravamo e chiedere loro cosa ne pensano degli adulti che siamo diventati" Juanfelipe Gabanhia
“Come si fa a diventare grandi ?”, domanda semplice e complessa che ritroviamo nel libro di V. Brioschi . L’autrice mettendosi nei panni del bambino fa delle domande agli adulti che si occupano di lui e chiede :
“ … Potrà il mio gioco preferito diventare il mio lavoro quando sarò grande ? Come farà il mio cuore a diventare elastico per farci entrare la mia famiglia, il mio cane, il mio gatto , la mia maestra … ?”
Noi allora possiamo chiederci: “Quanto conta la prima infanzia ?”
Le prime esperienze
Potremmo rispondere "moltissimo", perché nei primi anni di vita si formano le nostre mappe cognitive ed affettive e noi adulti ne siamo responsabili. Quando veniamo al mondo non disponiamo di nessun codice per orientarci, percepiamo odori, sapori seppure non ne individuiamo la provenienza, non sappiamo se arrivano da dentro o da fuori di noi. Solo a poco a poco e lentamente cominciamo a distinguere noi stessi dalle persone che ci circondano, sempre lentamente cominciamo a riconoscere le sensazioni che saranno le nostre poi emozioni. In altre parole cominciamo a costruirci delle mappe cognitive ed emotive che ci serviranno per registrare l’ impressione che le cose del mondo suscitano in noi.
Ma come avviene tutto questo?
Se consideriamo che l’identità che il bambino va costruendo in quei primi anni di vita è frutto del riconoscimento di quella funzione riflessiva che si struttura tra lui e gli adulti che se ne occupano, è abbastanza conseguente che quell’imprinting può creare o meno la cosi detta “fiducia di base”, quella che sarà l’autostima nel periodo successivo.
Questa premessa è l’introduzione ad un tema che ricorre di frequente nei nidi d’infanzia: come costruire una relazione di fiducia con le famiglie fin dai primi giorni di ambientamento.
A seguito della mia esperienza trentennale di coordinamento pedagogico alcuni dubbi e riflessioni sull’inserimento del modello “tradizionale” me li ponevo da tempo, ovvero un inserimento organizzato per tempi molto dilatati da un punto di vista temporale, ma brevi come permanenza quotidiana. Nuove domande e quesiti li portavo anche ai gruppi di lavoro, in particolare chiedendo loro :
“Come riesce un bambino piccolo a trattenere il ricordo dell’esperienza relativa all’inserimento? Come vive la separazione dall’adulto di riferimento e questo verso di lui?
Quanto il modello di inserimento tradizionale, pur non negandone diversi aspetti positivi, ha tenuto conto delle esigenze del singolo bambino e del genitore che lo accompagna? Il bambino sa cos’è un’ora o un giorno ? E’ in grado di elaborare la separazione dal genitore non avendo la dimensione del tempo? Può un bambino così piccolo essere in grado in poche ore di lasciarsi andare, di fidarsi ed affidarsi, di esplorare ?
Come si crea il legame di attaccamento sicuro? A volte neppure per il genitore quel tempo è sufficiente perché se sul piano razionale comprende quello che sta accadendo, sul piano emotivo i tempi possono non coincidere.
Perché l’inserimento abbia successo la scommessa è accogliere all’interno dello spazio nido quella mamma o quel papà in modo tale che si possa lei/lui stessa/o fidare ed affidare…
…e per questo ci vuole del tempo!
Continuità e Presenza
Serve continuità e non frammentazione: il bambino è nel presente e perché la memoria episodica possa essere assimilata il tempo si deve impregnare di presenza materna. E allora cosa trattiene un bambino così piccolo dentro di sé della presenza e del ricordo del proprio genitore? D. Winnicott parla della “capacità del bambino di stare da solo in presenza di qualcuno", ovvero il divenire capace di essere solo in presenza della madre, inteso come oggetto buono interiorizzato.
Ma per fare questo, ovvero separarsene, il piccolo ha la necessità di poterla evocare nella sua assenza senza l’angoscia della perdita. Serve che il mondo esterno ed estraneo diventi noto e conosciuto, che sia “mammizzato” con la presenza dell’adulto significativo, facendo in modo che gli occhi del genitore possano sconfiggere quei fantasmi che in modo sotterraneo potrebbero contribuire ad emozioni di diffidenza o ansia verso un mondo non ancora conosciuto.
Ci siamo mai chiesti come mai la così detta “crisi da inserimento” si presenta spesso anche dopo un mese dall’inizio della frequenza? O perché il bambino apparentemente tranquillo, alla vista del ritorno del genitore, esplode in un pianto inconsolabile ?
Non basta il colloquio conoscitivo per creare una relazione di fiducia. Da diversi anni si parla, e diversi articoli sono stati pubblicati, sul modo di svolgere l’inserimento in 3 giorni.
Vorrei invece in queste righe raccontare e dare voce al vissuto dei genitori e delle educatrici, che cosa è accaduto dal primo giorno fino a quando si sono poi ritrovati per rivivere insieme l’esperienza che da inserimento è diventato ambientamento, parlando anche dei dubbi e delle perplessità che il gruppo di lavoro aveva prima di iniziare.
La voce delle educatrici
La prima loro “resistenza" è stata:
“Il genitore mi osserva… cosa penserà di me, di noi, restando dentro al nido per tante ore? Come gestirò il momento del sonno con un genitore presente?… Cosa accadrà se vedrà altri bambini piangere o in situazione di conflitto?”
Durante la formazione che ha preceduto le prime esperienze di inserimento in tre giorni, sono state rilanciate diverse riflessioni focalizzate sul “tempo”: affinché il tempo possa trasformarsi in memoria, al bambino servono ingredienti come continuità, prevedibilità, stabilità, costanza dell’esperienza, fiducia, senso di appartenenza, legame con il bambino e con il suo caregiver.
La “grande scommessa" con le educatrici è quindi partita superando i “fantasmi” di essere osservate e ancora di più giudicate.
Posso dire oggi, dopo cinque anni che lavoro con questo modello di riferimento e che non ritengo una moda, bensì un modo per dare voce ai bisogni dei bambini e dei loro genitori, che possa essere la miglior telecamera che si possa offrire ad un genitore.
Le educatrici del nido Cip e Ciop di Molinella (BO) raccontano : “Rispetto ai genitori abbiamo verificato quanto sia stato importante sostenere le relazioni intime della coppia genitore- bambino/a, al fine di creare un ambiente educativo in continuità e sintonia con quello famigliare. Noi educatrici, in partenza alquanto scettiche, abbiamo potuto verificare la serenità con la quale i bambini hanno affrontato e vissuto questo momento delicato: alcuni hanno espresso qualche difficoltà ma, nello stesso tempo, si sono lasciati consolare e coccolare più facilmente e con naturalezza".
Le educatrici hanno avuto la possibilità di ri – conoscere il tipo di legame che c’era tra il bambino ed il proprio genitore e quale potesse essere lo stile educativo migliore per interagire con il piccolo nel rispetto dei tempi e ritmi specifici di ciascuno.
“A fine esperienza possiamo dire che il bambino è maggiormente padrone dello spazio, presenta un diverso tipo di pianto e maggiore facilità ad essere consolato, maggiore fiducia e alleanza con i genitori e quando si separa fisicamente dal figlio, emotivamente l’ha già fatto”.
La voce dei genitori
Nella terza giornata di ambientamento, grazie all’osservazione svolta da parte delle educatrici, si valuta quale può essere il momento più adatto per fare un distacco chiedendo al genitore, o ad entrambi i due adulti presenti (considerando che gli inserimenti avvengono a coppie di due), di ricavarsi un loro spazio e tempo per elaborare attraverso colori, fogli e materiali vari le emozioni che stanno vivendo in quei primi giorni di inserimento. Quelle piccole grandi opere d’arte saranno poi custodite dalle educatrici e riproposte in un cerchio narrativo, nel periodo tra fine ottobre ed inizio novembre, a tutti i genitori che hanno vissuto l’esperienza per poterla così narrare, ricordare e darle un significato anche condiviso.
In questo incontro ci si ritrova insieme in cerchio, seduti su cuscini comodi a sorseggiare una calda tisana; il momento conviviale è accompagnato da musica rilassante permettendo di sentirsi accolti e di “regredire" ad una dimensione antica. Il clima che si crea, con questo tipo di proposta è di intimità e complicità e quando i bicchieri sono ormai vuoti sullo sfondo apre la scena uno spezzone di “Re Leone”, che evoca metaforicamente tematiche relative alla nascita, alla perdita e a una nuova Vita.
I genitori guardano le proprie “opere” che avevano tracciato con oggetti e diversi materiali durante i primi giorni dell’inserimento e del distacco.
Il racconto di ciascuno acquisisce un grande valore nel gruppo e quello che sembra passato diventa, in un "Noi collettivo", una presenza evocativa di memoria non più epidermica, ma carica di affetti.
Bibliografia
- E. Balsamo, “Alfabeto del Bambino Naturale”, ed. Il leone verde, 2014
- D. Winnicott, “Sviluppo affettivo e ambiente“, Armando Editori, 2015
- J. e W. Lazear, “Meditazioni per Genitori” , Edizioni Armenia, 1993
- J. Bowlby , “Attaccamento e perdita” volume 1., Ed. Bollati Boringhieri, 1976