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Genitorialità Tempestosa: riflessioni sulla sfida dell’educare

A cura di Dott.ssa Camilla Melchiori, Formatrice ed Educatrice 

Essere genitore ed accompagnare un bambino che cresce,  significa accettare che non ci siano mai risposte finite. È un ruolo che deve continuamente assestarsi e modularsi sui bisogni dei figli... un po’ come tenere in mano una saponetta: bisogna sorreggerla altrimenti cade, ma non stringere troppo se no scivola via. Una danza continua in bilico tra vicinanza e distanza dai nostri bambini e dalle nostre bambine. 

Genitori o giocolieri? 

Così, ogni volta che ci sembra di aver trovato una quadra, che crediamo di aver capito una regola di funzionamento delle nostre dinamiche familiari succede qualcosa che cambia di nuovo gli orizzonti di senso. 

Ci sono poi dei momenti particolarmente “caldi” nell’avventura di crescere, come quel periodo che spesso sentiamo definire “i terribili due anni”, di cui ormai la letteratura è carica di articoli con spunti di pensiero, suggerimenti o spiegazioni. (clicca qui se vuoi approofondire: I terribili due anni ) .

Sappiamo quindi che in questa fase il bisogno del/la bambino/a di formare la sua identità e iniziare il processo di separazione dalle figure di riferimento si traduce in un continuo opporsi ai limiti che i genitori come guide pongono a lui e a lei. Queste spiegazioni difficilmente allentano le difficoltà ma possono essere rassicuranti: le fatiche di adulti e quelle che vediamo sperimentare nei bambini hanno un volto e trovano spiegazione.

Ma cosa accade superata questa fase? Quando il bambino e la bambina iniziano la scuola dell’infanzia?

Un passaggio molto forte sia se il/la bambino/a ha frequentato il nido e quindi si trova a lasciare un luogo ancora spesso visto come di "accudimento" per avventurarsi in un contesto “scuola”, sia per chi farà il primissimo ingresso in una comunità educante.

Agli occhi del genitore l’aspettativa di tale passaggio può essere quella di un “arrivo”: il mio bambino o la mia bambina ora è “Grande” (aspettattevi a breve un articolo anche su che cosa significhi "essere grande"!) 

"Forse farò meno fatica?"

Spesso è spiazzante riconoscere come questa “terribile” fase sembra non passare mai: il bambino o la bambina continuano a impuntarsi, a manifestare fortemente le loro emozioni… ma come, si parla di terribili due, ma a 4 anni non dovrebbe essere diverso?

Osservando da un altro punto di vista gli impeti emozionali dei bambini potremmo vedere come avvenga dentro di loro un cambiamento: bambini e bambine iniziano a scontrarsi con il mondo non tanto per testare il limite quanto per… imporre loro stessi! Abbiamo quindi di fronte a noi persone con desideri più chiari e manifestati con forza perché portano in sé una maggiore consapevolezza. 

In questa fase della vita ai bambini si apre un nuovo ventaglio di esperienze e competenze da acquisire e soprattutto sperimentare: nuove forme di socialità (cooperare, mediare, condividere, riconoscere le emozioni altrui, provare empatia) dentro e fuori di casa, nuove domande sul mondo e sul suo funzionamento, sostenuto da una sempre maggiore capacità di astrazione, di ragionamento, di ipotesi,  fantasia e immaginazione... si apre un mondo di infinite esplorazioni! 

Questo comporta nella relazione con gli adulti la ricerca di una relazione non solo subita ma co-costruita. Riconoscendo mamma e papà come altro da sé, il bambino li vede forse per la prima volta come individui con altrettante emozioni e desideri, uscendo dall’egocentrismo dove tutto viene vissuto solo in relazione a se stesso.

Prendiamoci un attimo per pensare al cambiamento che avviene nel bambino, e nel suo panorama di sguardi e pensieri: dal sentire solo se stesso e i suoi bisogni che in tutti i modi cerca di realizzare, al riconoscersi come parte di una famiglia, di una comunità di individui che hanno altrettanti bisogni i desideri. Che potenza! 

La sfida della genitorialità tempestosa...

... sta proprio qui! Nel mediare quelli che sono i desideri del bambino, che esprime con forza perché persona sempre più consapevole e che si trova a riconoscere un passo alla volta ciò che non è possibile in virtù della comunità di cui è parte ("voglio stare al parco giochi... ma la mamma deve andare a fare la spesa"). 

E ora torniamo a noi, genitori che devono riassestare continuamente il proprio ruolo, le proprie modalità, sintonizzandoci nuovamente alle competenze che via via nostro figlio acquisisce.

Ci sono dei momenti in cui, di fronte a grandi manifestazioni di rabbia o tristezza del bambino e della bambina ci verrebbe spontaneo pensare“sta facendo i capricci” ed ignorarli o sgridarli è una delle reazioni spontanee che ci vengono in mente in risposta a questa situazione.

Prendiamoci un attimo e immaginiamo qualcosa che desideriamo fortemente: che ci viene negata! Per motivi validi che noi possiamo comprendere, ma a livello emotivo nulla evita di farci sentire tristi, frustrati o arrabbiati. Proviamo a immaginare ora che il nostro compagno o un'amica ci rispondano dicendo: “dai non fare i capricci, questa cosa non è importante”. 

Come ci sentiremmo? Arrabbiati? Frustrati? Svalutati? Tristi? Incompresi? 

Anche per i bambini è così. 

Ci sono molti meccanismi spontanei interiorizzati dai genitori derivanti dall’educazione che abbiamo a nostra volta ricevuto, un tema molto ampio che meriterebbe tutto un’altro spazio, ma che in questa sede abbozzeremo soltanto. Il modello educativo di riferimento dei nostri genitori si basava su una sorta di “autoritarismo” dove le regole calate dall’alto andavano ascoltate, dove non c’erano grandi spazi di dialogo e confronto fra generazioni. Questi paradigmi stanno pian piano cambiando a fronte di nuovi studi e nuovi modelli, ma questo comporta per i neo genitori una nuova sfida: quella di ripensare e riconsiderare il proprio comportamento, le proprie scelte valoriali, le regole senza avere “un pattern di riferimento”, ma allo stesso tempo avendo ormai interiorizzato alcune modalità vissute durante l’infanzia nella propria famiglia di origine. 

Come si traduce questo nella relazione quotidiana? Non si può più dire di no?

Come adulti il nostro compito resta quello di dare delle regole e contenimento, e quindi, anche saper dire di no. Però possiamo farlo accogliendo lo stato emotivo del nostro bambino o della nostra bambina, utilizzando per esempio frasi come “capisco che tu sia arrabbiato..” “mi spiace che tu ti senta così…” . Questo permetterà al bambino di sentirsi compreso e accolto nella sua emozione ed intenzione. Questo non significa che l’espressione emotiva cesserà all’improvviso, ma potrà creare una iniziale momento di riconoscimento reciproco, uno spazio di dialogo dove poter far incontrare i rispettivi bisogni: “capisco che tu vuoi rimanere al parco giochi, ma adesso è necessario fare la spesa, altrimenti non possiamo mangiare stasera”.

Il bambino ora inizia a essere in grado di riconoscere anche bisogni e desideri altrui e quindi comprenderli, ma va ancora sostenuto. È un processo che richiede tempo e pazienza!

Non si tratta però di convincere il bambino, cercando la sua approvazione o aspettarci che lui sia d’accordo con noi nella decisone presa, quanto più di trovare una modalità che riconosca la sua emozione legittimandola, ma allo stesso tempo, comunichi la necessità di quel momento magari trovando un compromesso ("capisco che tu sia dispiaciuto, domani possiamo organizzarci per fermarci più a lungo al parco").

L’arte di mediare fra bisogni e desideri è una delle più grandi competenze da allenare nella Genitorialità Tempestosa: comporta la capacità di ascoltare le proprie emozioni e quelle altrui, bloccare i “meccanismi inconsci”, mettersi nel panni dell’altro.

Perdoniamoci quando non ne abbiamo le forze, quando non riusciamo a costruire un dialogo, quando sentiamo di “non farcela”. Teniamo saldo dentro di noi il pensiero che tutte le volte che questo non sarà possibile aiuteremo comunque il nostro bambino a crescere e ad accettare le frustrazioni. Possiamo avere fiducia nella nostra bambina e nella relazione di stima e affetto che fin’ora abbiamo costruito e sulla sua capacità di essere resiliente. Come in tutte le relazioni quando ci accorgiamo che potevamo fare una cosa in modo diverso possiamo scusarci, prenderci del tempo per rilanciare al bambino i vissuti, senza colpevolizzare nessuno (soprattutto il bambino).  

“Prima al parco ho urlato molto forte e mi dispiace. Sono molto stanco/a oggi e dovevo proprio fare la spesa, anche se comprendo che tu volevi giocare . Scusa per come ti ho parlato/ scusa se sono stato brusco/a” 

In questo modo offriremo anche un modello di adulto che sbaglia e che riconosce l'errore. Questo permette al bambino/a di interiorizzare il fatto che non eiste la perfezione, che sbagliare è lecito e non per questo quando succede la persona perde di fiducia o non è degna di amore. Al contrario: individuato l'errore ed esplicitandolo all'altro, si ha modo di imparare entrambi da questa esperienza, che diventa poi ricchezza per le sucessive occasioni da affrontare. 

I frutti del lavoro della genitorialità tempestosa spesso non sono immediati e le modalità di apprendimento di bambini e bambine comportano il mettere alla prova la figura dell'adulto in modi diversi e ripetutamente nel tempo. Ma in questo percorso troviamo sempre quei momenti in cui i possiamio cogliere i primi fiori del nostro duro lavoro. E quando succede, è giusto riconoscercelo e gioire di quegli attimi così preziosi. 

Quello che possiamo augurarci (e di cui siamo anche fiduciosi) è che la nostra costanza nel tenere una linea educativa coerente lo aiuterà nel processo di crescita… nel suo percorso avventuroso verso il mondo.

Buon viaggio a tutti e tutte!

Bibliografia

  • Genitori e figli: crescere insieme, Raffaele Mastromarino, ed. Erickson, 2018

  

 

 

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