La stanza del "come se": cos'è il viaggio della psicoterapia
A cura di Dott.ssa Giulia Tortorelli, Psicologa, Psicoterapeuta e Formatrice
E’ arrivato settembre e dopo la pausa estiva la porta dello studio si riapre per accogliere nuovamente le persone che sto seguendo e le loro preziose storie di vita.
“Dottoressa… sono arrivata a OTTANTAQUATTRO!”
S. entra in stanza sorridente, baldanzosa e sarcastica, salutandomi con questa esclamazione. Non può trattarsi degli anni, è decisamente più giovane! Cerco nella memoria degli ultimi incontri fatti a inizio agosto prima delle ferie per capire a cosa si sta riferendo… ma non mi viene in mente nulla.
“Ottantaquattro… cosa?!” Chiedo incuriosita ricambiando il sorriso.
“E’ ufficiale: la mia giornata tipo è composta da ottantaquattro ore!". A quel punto, ricollegate immediatamente al senso del nostro percorso, scoppiamo a ridere!
Si parte da sè... per tornare a sè.
Questo è solo un brevissimo scambio, un esempio tra molti, che offre lo spunto per raccontare cosa sono (per me e per le persone con cui lavoro) i percorsi di sostegno psicologico e psicoterapia. Entrare in quello studio, in quella stanza, è come concedersi di intraprendere un viaggio. Partenza e destinazione coincidono, nel senso che sono rappresentate sempre dal viaggiatore: si parte da sé per tornare a sé. Al contempo però la persona che entra non è mai esattamente la stessa di quella che esce dopo circa un’ora. Il viaggio promuove un cambiamento e per ognuno si concretizza in modi e tempi diversi.
Quel viaggio inoltre è un appuntamento con se stessi e con l’altro, la terapeuta in questo caso: insieme si decide di volta in volta all’interno del percorso cosa affrontare, come farlo, a che velocità, se fermarsi un pochino, se cambiare rotta, se coinvolgere altri viaggiatori, se…
Ecco, per me il viaggio della terapia è una metafora che prova a generare altre metafore, con la funzione di capire qual è o quali sono le possibili direzioni personali di benessere verso cui dirigersi. È un “facciamo come se (la mia giornata avesse ottantaquattro ore per farci stare tutto!); facciamo finta che (quel lavoro che non mi piace io lo lasci davvero…)” etc. che ricorda molto il gioco dei bambini.
Se qualcosa che mi sembra impossibile o che magari mi spaventa molto posso sognarlo nella stanza della terapia, forse un po’ alla volta posso pensarlo realizzabile e provare a trasportarlo fuori di lì.
Se posso allenarmi a maneggiare emozioni pesanti, rielaborare esperienze forti, fare più ordine quando mi sento perso… tutto in un contesto protetto, tutelante e non giudicante come dovrebbe essere quello del colloquio psicologico, forse quel dolore, quell’esperienza toccante e quel caos faranno meno paura; da problemi potrebbero diventare risorse.
Se posso immaginare versioni differenti di me stesso e discuterne, impersonarle, metterle alla prova con il riscontro di qualcuno che ha strumenti teorici e tecnici per aiutarmi, forse nella vita fuori dalla stanza potrò giocarmi diversamente nelle mie relazioni e nei contesti quotidiani.
Il valore e l'importanza del gioco del "facciamo finta che"...
Insomma, tanto il gioco per i bambini (e anche per gli adulti) quanto il viaggio della terapia, sono una cosa seria ed estremamente creativa! Il gioco, la pedagogia ormai lo ribadisce da decenni, ha una funzione essenziale per determinare una buona crescita cognitiva, emotiva, relazionale, per attivare competenze, per favorire la scoperta e la conoscenza di se stessi e degli altri. Con il gioco ci si distrae e ci si impegna, è possibile divertirsi e anche scontrarsi, vincere e perdere e pareggiare e collaborare ed esplorare… fare “come se” e credere che sia vero!
Nella stanza della terapia gli ingredienti che sperimento insieme alle persone che incontro non sono poi così diversi. Innanzi tutto non si è soli: è un viaggio a due, qualche volte anche a tre o più, che richiede collaborazione, fiducia, sincerità, non giudizio, intenti comuni da costruire insieme e diversi per ciascuno. Durante il viaggio ci si conosce, si può diventare più consapevoli di alcuni aspetti prima confusi, si può ridere, piangere, stare in silenzio, arrabbiarsi, utilizzare tanti mezzi e strumenti creativi oltre alla parola e al dialogo. Tutto ciò che può contribuire ad aumentare i gradi di libertà di azione, di pensiero, di sentire di una persona. Non è sempre facile, anzi, il percorso spesso è costellato di ostacoli, di momenti difficili, di passaggi stretti e dolorosi. Anche in questo aiuta sapere di non essere soli: il terapeuta non è un familiare, non è un amico, non è una figura strettamente identificabile con altre già esistenti nella propria vita, ed è importante che resti tale perché questo consente di muoversi diversamente. Il terapeuta diventa quel “qualcun altro” che potenzialmente è utile alla persona per sperimentarsi come non ha mai fatto.
Mi accorgo una volta di più, scrivendo, di quanto la mia esperienza di psicoterapeuta sia sempre più rappresentata dagli aspetti narrativi: credo nel potere delle storie, non sono solo un esercizio di fantasia fine a se stessa ma creano concretamente dei nuovi mondi e dei nuovi modi di essere nel mondo. E per questo non posso che essere grata alle persone che incontro ogni giorno, poiché consentono anche a me di vivere con loro dei pezzetti di vita, avventure, tragitti, viaggi talmente variegati che non riuscirei mai ad immaginarli tutti da sola.
Forse, giunta al termine di questa riflessione, ho tralasciato alcuni aspetti teorici, tecnici, di setting rispetto a cos’è o cosa non è un “percorso standard” di terapia e supporto psicologico. Non ho potuto che parlare di cos’è PER ME questo lavoro. Mi sono lasciata trasportare dall’onda del mio entusiasmo per una professione che richiede tante competenze serie, qualificate e aggiornate, cornici professionali molto chiare; allo stesso tempo fa fare fatica, richiede di mettersi in gioco, di essere CON le persone in tanti frangenti diversi, di essere creativi e versatili e a volte anche “scomodi”, se è la direzione reputata utile per la persona.
Spero che questo contributo aiuti ad aprire delle porte nella direzione di un viaggio personale possibile ed entusiasmante, susciti curiosità nel provare a “fare come se…” per continuare a credere che cambiare è possibile.